L’Ordine Ingegneri Venezia è lieto di condividere il lavoro dell’Ingegnere Andrea Marascalchi dedicato al restauro di alcuni gioielli dell’edilizia storica veneziana. L’approfondimento si concentra sul Ponte di Rialto e Ca’ da Mosto.
Attraverso questi due esempi, molto diversi tra loro per tipologia e complessità, si mette in luce quanto sia fondamentale l’analisi preliminare dell’edificio per progettare un intervento efficace. Il metodo si basa su un attento studio storico e strutturale unito a rilievi accurati e monitoraggi costanti.
Al termine dell’articolo sono disponibili anche le slide che si possono scaricare a questo link in formato PDF.
Premessa metodologica
Nel restauro dell’edilizia storica veneziana l’analisi preliminare della fabbrica è fondamentale nella definizione del progetto di consolidamento strutturale: nelle prossime pagine si cercherà di dimostrare questo assunto in riferimento a due esempi importanti, entrambi complessi e di tipologia molto diversa, il Ponte di Rialto e Ca’ da Mosto a Cannaregio, per sottolineare la validità generale dell’approccio, almeno con riferimento alla tipologia edilizia veneziana (come vedremo, molto legata al comportamento delle fondazioni).
Tale metodo si basa sullo studio approfondito dei documenti storici e l’attenta ricerca parallela di riscontri di cantiere, il rilievo rigoroso dell’assetto deformato, il monitoraggio del quadro di dissesto e l’analisi critica dei dati raccolti, sia a scala globale che con riferimento ai singoli elementi strutturali.
Più lo studio è approfondito (con un livello di conoscenza elevato) e più la normativa vigente (NTC 2018) consente di ridurre i coefficienti di sicurezza dei materiali e l’entità delle azioni esterne da considerarsi nelle verifiche statiche e sismiche.
Ne consegue che, ancor prima di proporre interventi di consolidamento, il Progettista potrà dichiarare (con il calcolo) livelli di sicurezza più elevati per l’edificio, solo approfondendo lo studio delle condizioni di fatto.
Appare quindi evidente l’importanza dell’analisi preliminare della fabbrica, soprattutto quando l’elevato pregio storico architettonico del bene richiede necessariamente di minimizzare gli interventi di consolidamento statico e di miglioramento sismico.
Per di più l’approccio è evidentemente molto meno invasivo rispetto alle indagini strumentali in sito condotte a tappeto, come purtroppo capita spesso di vedere, magari già eseguite prima ancora di nominare il progettista strutturale.
Ma soprattutto questo approccio favorisce la conoscenza diretta del bene e consente al progettista di comprendere appieno come è stata costruita la struttura, le modifiche che sono intervenute nel tempo ed i segnali di sofferenza che trasmette e quindi di acquisire consapevolezza (e spesso fiducia) nella costruzione che gli consentirà di calibrare meglio il progetto.
Il Ponte di Rialto, tecnica costruttiva e condizioni di conservazione

Le cronache che precedono la costruzione del Ponte narrano di lunghi indugi, accese contestazioni e ripetute richieste di parere ai massimi esperti, che rivelano quanta incertezza regnasse nella scelta del modello e come l’esito del progetto fosse importante per il prestigio della Repubblica, peraltro in un momento storico nel quale stava venendo meno la centralità delle rotte commerciali controllate da Venezia.

Si discuteva sulla possibilità di restaurare ancora il vecchio ponte in legno o di rifarlo completamente in muratura e, in questo caso, se fosse meglio un modello ad una sola arcata o a tre.
Il dubbio di fondo, che non si riusciva a sciogliere, era di natura squisitamente tecnica e riguardava le fondazioni dell’opera.
I fautori dell’unica arcata evidenziavano la minor fruibilità del canale con la soluzione a tre archi ed il rischio che la presenza di quattro piloni di fondazione, appoggiati sui diversi terreni delle rive e dell’alveo del canale, potessero produrre cedimenti differenziali tali da pregiudicare la costruzione, mentre i sostenitori delle tre arcate ritenevano difficile risolvere la questione della cedevolezza orizzontale delle spalle sotto la spinta dell’arco.

In conclusione, all’inizio di gennaio del 1588, il Senato votò la disposizione planimetrica proposta dal Proto al Sale Antonio Da Ponte che, con grande senso pratico, aggiustò l’allineamento di progetto del nuovo Ponte fino lì proposto minimizzandone l’impatto sull’edificato esistente con notevole risparmio nel costo dell’opera.
La questione del modello strutturale, però, non era ancora chiarita.
Lo stesso da Ponte, che inizialmente aveva proposto una soluzione a tre archi pareva ora incerto su quale fosse la scelta più opportuna.
Finalmente, il 20 gennaio 1588 venne scelta la soluzione ad arco unico che risultava di minore ingombro, meno costosa e garantiva la necessaria fruibilità del canale. Inoltre si discostava dall’archetipo dei ponti romani, modello di riferimento per la cultura architettonica rinascimentale, possedendo una forma più audace e bella che meglio rappresentava la grandezza della Repubblica di Venezia.
Dopo quasi un secolo di indugi i lavori per la costruzione della spalla dal lato di Rialto furono subito avviati, seppur in assenza di un progetto ben definito e di un conduttore dell’opera.
A fronte delle prime difficoltà nella realizzazione della palificata per la messa in asciutto della sponda, i Provveditori sopra la fabbrica del Ponte di Rialto si affidarono allo stesso Antonio Da Ponte, uomo concreto e di fiducia del Palazzo, liquidando le spese sostenute per i disegni ed i modelli ad altre più blasonate personalità.
La decisione può sembrare sorprendente ma, in fondo, è anche la più ovvia: in mancanza di esempi da seguire e di chiarezza di regola dell’arte il Senato dette fiducia all’uomo di esperienza.
Malgrado l’indirizzo fosse ormai deciso ed i lavori già avviati le polemiche ancora non si placavano e Da Ponte dovette a più riprese giustificare le proprie scelte nei confronti delle critiche che venivano mosse all’opera che stava crescendo.
Le osservazioni e le repliche sono documentate nelle cronache e ci consentono di conoscere le modalità costruttive della struttura del Ponte attraverso le spiegazioni fornite dallo stesso Da Ponte.
Fra i documenti più significativi c’è sicuramente questo chiarimento fornito da Antonio Da Ponte, in realtà ancora nella fase della scelta del modello strutturale, al Senato, in merito alla sicurezza della struttura il 7 gennaio 1587.
<<Per adì 5 zenar.
Per obedir ale Clarissime Signorie vostre, Clarissimi Signori Proveditori sopra la fabriga del Ponte de Rialto in materia de far il ponte int un volto solo, sel sarà siguro, dicho che, fato molti miei discorsi sopra questo far d’un volto solo, et perchè il tuto sta nele fondamente, dicho che, ben considerado, si puol far dite fondamente, le qual reuscirà forte, e fare il ponte siguro.
Antonio dal Ponte, proto, oss. suo servitor.>>
(Trascrizione tratta da R. Cessi, A. Alberti “ Rialto, l’isola, il ponte, il mercato”)
Che, nella sostanza, anticipa di 400 anni la moderna teoria di Heymann sulla stabilità degli archi descritta nel testo “The mansory arch” del 1982.
Sappiamo quindi che il Ponte di Rialto è stato costruito secondo un modello ad arco ribassato realizzando, sopra una centina (suolo) in legno una volta a botte in conci di pietra dello spessore di circa 52 cm (1,5 piedi veneziani) con chiavi di spessore doppio.
Sopra la volta è stata realizzata una muratura di laterizi e malta di calce con giacitura radiale omogenea a quella dei conci in pietra e ad essa ammorsata grazie alle pietre disposte in chiave.
La volta si imposta su due spalle di fondazione (piloni) delle quali la prima ad essere costruita è stata quella dal lato di Rialto.
Essa poggia su una platea di legno (quattro file di bordonali di legno di larice disposte alternativamente in senso longitudinale e trasversale) che legavano le teste dei pali di costipamento preventivamente infissi (circa 6000 per spalla), di legno di ontano lunghi circa 3,50 m.
Il battuto dei pali venne realizzato sul fondo di uno scavo praticato a gradoni degradanti verso il canale in modo da consentire il sostegno delle pareti a salvaguardia degli edifici prospicienti.
Pali in larice, più lunghi, furono infissi lungo il contorno interno della fondazione verso il canale (coronella) ed a collegamento fra i denti dei due livelli più bassi dello scavo in modo da pareggiare la quota di punta dei pali della zona di spalla più vicina al canale.
Le critiche dei detrattori dell’opera si concentrarono su tre aspetti principali: la scelta di disporre le pietre ed i mattoni con giacitura radiale, la forma a gradoni della sezione della spalla e la sua ancora apparente debolezza nei confronti della spinta.
Da Ponte si disse convinto di ben operare in merito alla giacitura delle pietre e dei mattoni e, in effetti, stava costruendo una volta innovativa, a sezione variabile, sfruttando, grazie alle ammorsature delle pietre disposte in chiave, anche il contributo di resistenza offerto dalla muratura posta sopra lo spesso guscio di pietra d’Istria.
Il Proto motiva la scelta della fondazione a gradoni per la necessità di non mettere a nudo, con lo scavo, la base dei pali del Palazzo dei Camerlenghi e dei Dieci Savi che, essendo preesistenti, non potevano certo essere dotati di fondazioni profonde come quelle del Ponte.

Forse anche alla luce delle prime ispezioni condotte sul terreno dal lato di San Bartolomeo, Da Ponte si convince della necessità di rinforzare la spalla, che già si estendeva verso la Ruga fino al quarto pilastro della Drapperia (circa 8,50 m dallo spigolo del Palazzo dei Dieci Savi) e 8 piedi (2,80 m) oltre la porta del Palazzo dei Camerlenghi, per fornire ulteriore sostegno orizzontale alla volta.
A fondazione completata vengono quindi disposte la prosecuzione della spalla e la realizzazione di un ulteriore contrafforte di rinforzo a tergo della spalla costituito da un riempimento in muratura, in luogo del terreno naturale, delimitato e sostenuto da tre file di pali legati fra loro ed infissi ad una certa distanza dal fronte posteriore della spalla già costruita.
Successivamente viene messa in asciutto la riva dal lato di San Bartolomeo e la spalla viene quindi costruita allo stesso modo, per volontà di Da Ponte che ricerca la massima omogeneità fra le due fondazioni.
La scelta del Proto, naturalmente, è corretta ma nulla egli può fare per annullare le difformità naturali ed antropiche esistenti fra le due sponde: i terreni su cui poggiano le due spalle sono significativamente diversi: sopra il potente substrato sabbioso, comune alle due sponde, dal lato di San Bartolomeo è presente uno strato di circa 2,5 m di caranto (con orizzonte superiore a circa – 5,50 m s.l.m.m. di Punta della Salute) che non si riscontra dal lato di Rialto. Inoltre, dal lato di Rialto sono già presenti il Palazzo dei Camerlenghi e quello dei Dieci Savi.
Il caranto è un terreno ben noto ai costruttori veneziani: è un’argilla sovraconsolidata grigia con screziature ocra, plastica e soda, caratterizzata da resistenza a compressione molto elevata.
La costruzione dell’arcata venne ultimata ad aprile del 1590, a maggio furono banditi i lavori delle balaustre per la quale venne scelto il modello proposto da Banelli preferendolo a quelli di Contin e dello stesso Da Ponte.
Nel contratto si specifica “et per finir presto essa opera siano anco detti maestri obligati di metter tanti operai dell’arte loro che potranno capire”.
Ad agosto si inizia a lavorare sulle botteghe sotto la direzione di due aiutanti di Da Ponte, Benedetto Banelli e Antonio Contin, quest’ultimo nipote del Proto, ai quali, il 5 dicembre 1590, viene dato ordine di bandire il mercato per gli archi sopra il ponte.
Non si conosce il motivo per cui non fu concesso al Da Ponte di completare l’opera ma lo si può facilmente immaginare. Sin dalle prime fasi del progetto e poi durante i lavori il Senato della Repubblica ha sempre avocato a sé il governo della costruzione del Ponte, affidando direttamente parti dell’opera e risolvendo gli aspetti tecnici attraverso la richiesta di proposte progettuali e di pareri tecnici ai più famosi architetti ed esperti costruttori che operavano all’epoca per la Serenissima, senza mai assegnare un vero incarico di progettazione, di direzione dei lavori e di realizzazione dell’opera, come li definiremmo oggi.
Il progetto architettonico, infatti, è una miscellanea di proposte e Da Ponte fu chiamato, come esperto costruttore, per risolvere il problema tecnico fondamentale del Ponte: quello dell’unica arcata.
E’ probabile che, visto il tempo impiegato per la costruzione delle spalle e della volta, per il completamento dell’opera, il Senato abbia preferito, al meticoloso ed anziano Da Ponte, sembra anche malato, il Banelli ed il Contin che, probabilmente, fornivano maggiori garanzie di rapido completamento dei lavori dato che, naturalmente, era urgente rimettere a reddito le botteghe.
Del resto l’arcata del Ponte era stata ormai completata con successo e si trattava adesso di realizzare opere di scarsa rilevanza strutturale per le quali il Senato ritenne che le capacità di Da Ponte non fossero più necessarie. Ma, come vedremo…. , si sbagliava.
La verifica statica della volta costruita da Da Ponte, che ha consentito di accertare l’ottimo stato di efficienza della struttura, si basa principalmente sull’analisi del suo assetto geometrico storico, e quindi delle deformazioni subite dal Ponte dall’epoca della sua costruzione ad oggi e sull’analisi degli spostamenti della volta e delle botteghe nel corso di un anno solare.
A tale scopo il rilievo del suo intradosso è stato tagliato in 13 sezioni parallele che sono state messe in confronto.
La linea di imposta dell’arco lato san Bartolomeo è risultata essere perfettamente conservata (si sono rilevati scostamenti dell’ordine massimo dei 2 cm.
Il confronto fra le sezioni longitudinali e trasversali ha evidenziato come la fondazione dal lato di Rialto abbia, in generale, subìto assestamenti superiori rispetto a quella dal lato di san Bartolomeo ed in misura crescente verso il Palazzo dei Camerlenghi. La volta ha quindi subito una generale inclinazione verso Rialto (di circa 7 cm) ed una sorta di torsione causata dal maggior cedimento dello spigolo nord ovest adiacente il Palazzo dei Camerlenghi (28 cm in valore assoluto rispetto allo spigolo nord est, verso il Fontego dei Tedeschi, meno cedevole).

La lettura critica delle vicende storiche e della campagna di indagini geotecniche, alla luce dei risultati della verifica dell’assetto geometrico del Ponte, porta ad individuare, quale causa dei cedimenti relativi verticali, la disomogeneità del terreno di fondazione, decisamente migliore dal lato di San Bartolomeo, nonché la presenza del Palazzo dei Camerlenghi che deve aver limitato eccessivamente l’estensione della fondazione del Ponte.
Un cedimento dello stesso ordine di grandezza è stato rilevato per lo spigolo adiacente di Palazzo dei Camerlenghi.
Molto interessanti sono risultati i confronti fra le curvature delle sezioni longitudinali: una volta annullato l’effetto del cedimento differenziale fra le imposte, le differenze fra i punti corrispondenti della sezione più a nord e di quella mediana sono praticamente trascurabili (i centri di curvatura degli archi ideali che meglio le approssimano – e che hanno un raggio di oltre 20 m – distano fra loro di soli 9 mm).
Per comprendere ancora meglio la precisione con cui è stata costruita la volta si osserva ancora che, malgrado la diversa curvatura rilevata fra la sezione meridionale e quella mediana, la lunghezza complessiva dell’arco ideale meridionale è corrispondente a meno di 1 mm su 33.000 a quella dell’arco mediano: lo sviluppo del primo è di 32,979 m, quello del secondo di 32,978 m.
I dati raccolti sulla consistenza della struttura della volta e delle sue fondazioni, l’analisi dei cedimenti e delle deformazioni subite dalla struttura hanno consentito di costruire il modello matematico necessario per valutare le condizioni di sicurezza del Ponte ma l’affidabilità del modello doveva essere tarata con prove sperimentali, per esempio di caratterizzazione dinamica che però sono poco indicative per una struttura massiccia come quella del Ponte, oppure con prove di carico che, naturalmente, non potevano essere eseguite sul Ponte di Rialto.
Anche a questo scopo, nella fase preliminare di studio del Ponte, venne avviato un monitoraggio topografico degli spostamenti del Ponte per un anno solare che ha permesso di registrare gli spostamenti del Ponte sotto l’azione della variazione termica stagionale consentendo così di verificare la rispondenza dei modelli matematici alla struttura reale.
Il Ponte di Rialto, come qualunque altra costruzione, è infatti soggetto a spostamenti nel tempo con andamento prevalentemente dettato dalle variazioni climatiche stagionali.
Sulla superficie esterna del Ponte e nel suo intorno sono state collocate 82 mire ottiche e, con cadenza mensile, si sono rilevati gli spostamenti del Ponte.

Gli spostamenti sono stati quindi interpolati ed analizzati fornendo indicazioni molto interessanti sul comportamento del Ponte che risulta influenzato dall’andamento della temperatura in maniera molto regolare.
Nei mesi caldi si verifica un allungamento della volta, che tende a sollevarsi per la resistenza esercitata dalle spalle, accompagnato da una dilatazione trasversale, mentre nei mesi freddi si verificano variazioni opposte e la volta si abbassa e si contrae.
Il fianco sud del Ponte, inoltre, si allunga nella stagione calda e si accorcia in quella fredda mentre il fianco nord si deforma in modo opposto e con spostamenti più contenuti come se il Ponte fosse soggetto ad una sorta di inflessione nel piano orizzontale con allungamento (fibre tese) a sud in estate ed a nord in inverno. Il fenomeno osservato trova spiegazione nella diversa escursione termica tra i due lati del Ponte, a causa dell’irraggiamento solare diretto cui è soggetto il fronte sud, che induce deformazioni di entità superiore sul fronte meridionale rispetto a quello settentrionale.

I dati raccolti con le indagini hanno consentito di accertare le condizioni di sicurezza della struttura del Ponte, pur considerando le deformazioni subite dalle fondazioni che governano l’andamento delle sollecitazioni interne della volta, come aveva ben compreso Antonio Da Ponte.

Al contrario, le ispezioni condotte sugli elementi strutturali accessori del Ponte: le botteghe e le balaustre, hanno dato un esito completamente opposto, evidenziando situazioni di instabilità e di notevole pericolosità statica.
Sulle pareti delle botteghe si è reso necessario dare corso ad interventi di miglioramento della qualità muraria mirati, in particolare, ad instaurare un efficiente collegamento fra l’apparato lapideo esterno e la muratura di laterizio che risultavano completamente separati con evidente rischio di instabilità del paramento esterno in pietra. Si è reso necessario, inoltre, inserire dei tiranti all’imposta degli archi per porre rimedio ad una particolare situazione di dissesto innescata da una modifica ottocentesca che ha previsto la stamponatura delle lunette degli archi.
L’intervento ha infatti innescato, inconsapevolmente, un disequilibrio fra le spinte degli archi dovuto al diverso punto di applicazione della spinta che ogni piedritto riceve da sinistra e da destra per effetto delle diverse quote di imposta.

Il piedritto deve ruotare in modo che si formi una coppia tra la risultante delle azioni gravitazionali e la reazione vincolare in grado di equilibrare quella generata dalle spinte disassate.
Le balaustre del Ponte, invece, sono gravate da un errore costruttivo originale, che ha condotto allo sviluppo progressivo di fessurazioni sulle strutture di sostegno che ne hanno compromesso la stabilità e hanno richiesto l’esecuzione di alcuni interventi di messa in sicurezza e di consolidamento statico.

Le balaustre sono, infatti, molto pesanti e sono sostenute a sbalzo da mensole di pietra che fuoriescono dalla volta del Ponte, ma la pietra non è un materiale idoneo a sopportare elevati sforzi di flessione e questo ha causato la rottura progressiva delle mensole.
Il progetto ha previsto il ricorso a protesi in acciaio inossidabile ad alta resistenza in affiancamento alle mensole rotte ed a placcaggi con bandelle in fibra di carbonio per ripristinare le differenti situazioni rinvenute sui due lati del Ponte.
Valutazione della sicurezza strutturale nelle condizioni di fatto del complesso di edifici aggregati Ca’ da Mosto e Ca’ Dolfin a Venezia

Il palazzo noto come Ca’ Da Mosto venne edificato in un lotto prima incluso in una vasta proprietà dei Falier, testimoniata in quella zona tra il Rio di Santi Apostoli e il Rio di San Giovanni Grisostomo nei primi anni del Duecento, epoca in cui risultava solo parzialmente edificata.
Costruito secondo l’ipotesi di Wladimiro Dorigo tra 1235 e 1243 dai Barozzi, e probabilmente innalzato al piano superiore attorno alla metà del Duecento, l’edificio venne acquistato nel 1266 dai Da Mosto, a cui apparterrà fino al XVI secolo.

Solo in un documento del 1381 si ha la prova dell’esistenza di un secondo piano nobile, che all’epoca era diviso tra le vedove di due Da Mosto.
Il restauro radicale venne effettuato solo tra il 1606 e il 1613, dopo l’acquisto dei locali al pian terreno e all’ammezzato di Cecilia Da Mosto da parte di Lunardo Donà, che già possedeva il primo piano per una donazione ricevuta dalla zia Chiara Da Mosto.
Una pianta eseguita dal Celesti nel 1603 dà conto dell’assetto del pian terreno prima dell’inizio dei lavori. In essa è evidente l’area interessata dal crollo, la scala di legno provvisoria, la situazione del portico a cinque arcate, la corticella sul lato sud con il pozzo, la chiusura di tavole del vano nord ovest su Canal Grande (una bottega di cester).

Con il restauro fu ridotto il colonnato del portico al pian terreno, che perse due arcate, venendo così ridotto a tre.
Dopo il restauro, fino ai primi anni dell’Ottocento, non vengono segnalate sostanziali trasformazioni nell’edificio, ad eccezione di una soprelevazione di un piano, antecedente al 1766, che prendeva il posto di una precedente altana, e il tamponamento di due delle arcate al pian terreno, tutte testimoniate dalle fonti iconografiche coeve.
Il sito ove sorge Ca’ Dolfin risultava, invece, terra vacua nel 1318 e iniziò ad essere edificata alla fine del Trecento o nel Quattrocento nell’ultimo quarto del quale si ha notizia di una ca’ grande degli Spinelli.
Le notizie storiche successive narrano di vari passaggi di proprietà, divisioni e riunificazioni che si sono succedute fino ai giorni nostri in cui l’edificio viene acquistato interamente dal medesimo Proprietario dell’adiacente Ca’ da Mosto.
Le ricerche storiche, suffragate dall’osservazione in sito dei dettagli costruttivi, testimoniano che entrambi gli edifici (che peraltro condividono un lungo tratto di parete di confine) siano giunti all’attuale consistenza per effetto di un lungo processo evolutivo che, a partire da nuclei antichi (addirittura di epoca bizantina per Ca’ da Mosto), attraverso la saturazione di spazi vuoti, divenuti poi spazi di distribuzione, ha integrato volumi edilizi preesistenti, composti da una o due cellule a formare corpi tripartiti, poi trasformati ulteriormente e sopraelevati.
L’occasione del restauro contemporaneo dei due Palazzi ha consentito quindi di analizzarli assieme considerandoli come un unico grande aggregato edilizio.
La consistenza strutturale
Le indagini puntuali sul terreno o sulle strutture di fondazione consentono di acquisire solo informazioni parziali, poiché il sottosuolo del centro storico veneziano, per la sua natura alluvionale e per la morfologia in divenire dell’ambiente lagunare, è caratterizzato da un’alternanza di strati con ampia variabilità puntuale. Alla naturale disomogeneità del terreno, si aggiunge poi la disomogenea azione antropica che ha prodotto, all’interno dello stesso edificio, fondazioni di consistenza differente a seconda della fase costruttiva e della funzione della parete che, a volte, variano anche al di sotto dello stesso allineamento murario, poiché la storia edilizia di molti edifici storici veneziani e, come visto, di Ca’ da Mosto e Ca’ Dolfin in particolare, è caratterizzata da fusione di diversi nuclei originari, inglobamento di preesistenze, stratificazioni e trasformazioni successive.
In coerenza con l’approccio osservazionale dell’indagine condotta, l’efficienza del sistema di fondazione dell’edificio è, invece, analizzabile attraverso la ricostruzione dei cedimenti fondazionali relativi fra le strutture portanti dell’edificio che si sono verificati nel tempo, il cui andamento può essere compreso attraverso un attento rilievo critico.
L’analisi dei cedimenti relativi riveste quindi importanza fondamentale nello studio dell’assetto statico dell’edificio poiché da essi dipende la gran parte dei dissesti che affliggono le sovrastrutture i quali sono, infatti, in massima parte imputabili alla componente relativa dell’assestamento totale subìto nel tempo dall’edificio.

I cedimenti relativi, quindi, sono stati stimati attraverso la misura delle fuori orizzontalità esistenti tra elementi architettonici e strutturali omogenei che corrispondono infatti, a meno di tolleranze o di errori di esecuzione, ai cedimenti differenziati delle fondazioni. Ove possibile la misura è stata ripetuta a quote diverse, sia per verifica di correttezza dei dati raccolti che al fine di acquisire informazioni, ad esempio in presenza di sopraelevazioni, che risultano importanti per la valutazione dell’andamento nel tempo dei cedimenti.
Le murature di Ca’ da Mosto sono realizzate con mattoni di laterizio e malta di calce; esse presentano un’ampia disomogeneità che fornisce la prima testimonianza del processo evolutivo della fabbrica edilizia che ha condotto dal primo nucleo bizantino all’attuale consistenza dell’edificio.
Una parete di spina è addirittura disallineata ai vari piani, come si intuisce già dall’analisi della forometria della facciata sul Canal Grande.
I solai di Ca’ da Mosto sono costituiti da travi di legno e tavolato; in generale può essere condotta una prima distinzione, in termini di efficienza e stato di conservazione, fra i solai delle campate laterali e quelli che coprono i saloni passanti del piano terra e dei piani nobili dell’edificio. La circostanza appare coerente con l’ipotesi evolutiva della fabbrica ma può essere spiegata anche con la differenza funzionale ed architettonica del salone passante.
Con riferimento alle cellule laterali si osserva che, nella totalità dei casi, i solai sono stati costruiti con travi di modesta consistenza, spesso ricavate da tronchi appena squadrati che mostrano la loro naturale rastrematura cui si è tentato di ovviare disponendo le sezioni maggiori alternativamente alle due teste di appoggio sulle murature portanti.
Le verifiche statiche condotte hanno dimostrato che tutte le campate di solaio presentano valori di tensione nel legno e di deformazione flessionale massima che fuoriescono in maniera inaccettabile dal campo di sicurezza anche per il solo carico permanente.
I rilievi delle deformate dei solai effettuati in sito con livello ottico di precisione, confermano i risultati delle verifiche teoriche, considerato anche il fenomeno del fluage del legno (che produce un incremento nel tempo, anche del 250%, della deformazione delle travi sotto carico permanente), evidenziando frecce permanenti incompatibili con la sicurezza ed avvallamenti che, in molti casi, pregiudicavano la stessa funzionalità della struttura.
L’assetto statico generale
Le livellazioni di precisione delle quote di appoggio delle travi di solaio sulle pareti portanti sono state restituite, con diagrammi in scala opportunamente amplificata, nelle piante generali. I dislivelli relativi sono rielaborati in forma di grafici ribaltati in pianta accanto a ciascuna delle pareti indagate e riferiti, per ciascuna misurazione omogenea, alla quota assoluta più alta (lo “zero” dei cedimenti relativi) che corrisponde al punto meno cedevole dell’edificio.
Nel caso di Ca’ da Mosto le informazioni inerenti il comportamento delle fondazioni che si possono trarre dall’esame dei diagrammi di cedimento sono complete ed esaustive in quanto nella gran parte dei solai di piano le travi sono state messe in luce all’intradosso nel corso di precedenti interventi di messa in sicurezza provvisoria. Inoltre, i risultati ottenuti con le livellazioni ai vari piani sono coerenti fra loro e forniscono quindi indicazioni precise sui cedimenti differenziati subiti nel tempo dalle fondazioni dell’edificio. Essi risultano, infine, come di seguito illustrato, in ottima correlazione con le fuori verticalità delle pareti.
L’elemento meno cedevole del Palazzo corrisponde alla parete di facciata sulla Corte del Lion Bianco, la quale presenta cedimenti differenziali interni contenuti nel limite di 10 cm e che contiene i punti meno cedevoli del Palazzo che corrispondono agli appoggi del grande arco che dà accesso al “portego” del piano terra.
Le livellazioni effettuate ai diversi livelli dell’edificio concordano quindi nel dimostrare che c’è stato un assestamento globale dell’edificio di entità crescente verso il Canal Grande con andamento più o meno lineare fino al limite posteriore della cellula bizantina che affaccia sul Canal Grande e che rappresenta probabilmente il nucleo più antico dell’edificio, per poi ridursi leggermente verso la facciata principale.
Osservando i diagrammi riassuntivi dei rilievi dei dislivelli esistenti tra le quote di appoggio delle travi ai vari piani in senso trasversale si evidenzia una maggior cedevolezza dell’edificio verso sud, ovvero verso Ca’ Dolfin, rispetto alla parete d’ambito nord, che risulta quella con cedimenti relativi più contenuti ed uniformi. E ciò si verifica malgrado i carici trasmessi alle fondazioni siano inferiori per le pareti più cedevoli a dimostrazione del fatto che il cedimento è fortemente influenzato, oltre che da fattori intrinsechi, come la consistenza localmente variabile del terreno e delle fondazioni del palazzo, anche dalla pressione trasmessa al suolo dagli edifici adiacenti costruiti successivamente. Occorre qui evidenziare come anche su Ca’ Dolfin il cedimento relativo tra le murature longitudinali aumenta procedendo da nord verso sud proseguendo quindi lo stesso comportamento rilevato per Ca’ da Mosto, quasi ad indicare, in questa zona, una direzione di edificazione progressiva della sponda del Canal Grande verso l’ansa di Rialto, forse associata al peggioramento delle caratteristiche geotecniche degli strati superficiali del terreno.

In conclusione dell’analisi dell’assetto dell’involucro murario di Ca’ da Mosto e Ca’ Dolfin si può certamente affermare che l’entità complessiva dei cedimenti relativi è elevata in termini assoluti, anche in rapporto alle situazioni medie riscontrabili nell’edilizia veneziana. Dall’epoca della costruzione delle ultime sopraelevazioni, risalenti probabilmente al XVIII secolo, si sono verificate ancora importanti evoluzioni dei fenomeni di cedimento, testimoniate anche dai quadri fessurativi rilevabili sulle pareti dei piani più alti.
Con riferimento a Ca’ da Mosto si osserva inoltre la presenza di importanti direttrici fessurative verticali nelle murature di spina che lasciano intendere uno scorrimento dell’edificio verso il Canal Grande.
Il progetto di consolidamento ed adeguamento statico dei solai e delle murature hanno perseguito l’obiettivo della totale conservazione della struttura. Sono stati previsti quindi interventi di restauro delle murature con tecniche tradizionali di ricucitura muraria, di iniezione con inserimento di tiranti e di diatoni in fibra di basalto ed interventi di rinforzo dei solai con la realizzazione di strati di tavolato collaborante con le travi originarie.
Particolare attenzione è stata posta, nel progetto, alla realizzazione di collegamenti diffusi fra i solai di piano e le murature che hanno consentito di bloccare i meccanismi cinematici elevando notevolmente il coefficiente di sicurezza sismico degli edifici.
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